Giorno 34. Labuan Bajo (Flores).
Sulla carta (quella patinata dell’agenzia), doveva essere un’allegra crociera molto spartana lungo le coste nord di Sumbawa alla volta di Flores.
Quello che non avevamo immaginato, noi come i nostri compagni di viaggio, era che ci avrebbero imbarcato in 38 più 6 membri dell’equipaggio su una bagnarola di legno di 18 metri alla volta delle onde dell’oceano, senza acqua per lavarci se non quella del mare, in condizioni igieniche spaventose. Un po’ oltre lo spartano: qui siamo in condizioni disperate.
La prima notte le onde oceaniche fanno volare la barchetta in un vortice di alto, basso, destra e sinistra. Ad ogni sobbalzo, nel buio, si incrociavano sul ponte gli sguardi terrorizzati. Siamo stati male tutti, con varie gradazioni, da chi ha vomitato 4/5 volte a chi ha resistito stoicamente con le unghie conficcate nelle assi del ponte e le guance verdi come limoni.
Primo pasto servito: riso bollito, tofu, cavolo stufato. Tutto servito sul pavimento in catini di plastica da biancheria e una pila di piatti accanto. Gli unici che si avventano come piranha nei catini sono un gruppo di ragazzi inglesi che si sono imbarcati con una zainetto da pochi chili e due casse di birra a testa.
La mattina l’equipaggio ci sveglia alle 7 all’urlo di “snorkeling, snorkeling”. Apriamo gli occhi, traumatizzati, ancora pallidi, alcuni ancora in bagno a vomitare. I ragazzi inglesi, già carichi di birra, si buttano entusiasti in mare. Ci buttiamo a mare pure noi altri umani per raggiungere a nuoto Moyo. Arrivati sulla spiaggia, uno dei mozzi ci intima “trekking, trekking”, e senza capire dove siamo e chi diavolo ce l’ha fatta fare, ci addentriamo nella giungla a visitare l’isola. Due ore dopo ci portano a Satonda, ci ributtano a mare a visitare l’isola.
Risaliamo in barca, e ora ci aspettano 16 ore di navigazione. 2 ragazze della nostra barca e 5 di quella accanto alzano bandiera bianca e chiedono di farsi sbarcare a Sumbawa per proseguire col bus fino a Flores.
Noi altri, col terrore della notte che incombe e l’oceano che inizia a gonfiarsi, deglutiamo e continuiamo la traversata, stringendo in una mano il Plasil e nell’altra il Valium.
La notte passa meglio del previsto. Probabilmente ci siamo vaccinati. I bambini giocano tranquilli sul ponte con una bimba belga appena conosciuta come nulla fosse.
I pasti si susseguono sempre a base di riso bollito e tofu. Passata la nausea delle prime 24 ore anche Kiki si avventa sul tofu come fosse una fiorentina, e questa la dice tutta.
Il terzo giorno ci portano a fare snorkeling e trekking a Laba, un promontorio a picco sul marea con una vista da cartolina. Seconda tappa al Manta Point, e di mante manco l’ombra. Segue poi la visita alla Pink Beach, che in realtà è bianca come il latte. Nelle nostre teste iniziamo a vedere la fine di questa crociera-tortura, perché oramai stiamo solcando il parco nazionale di Komodo a nord, e gli scenari che scorrono accanto alla nave sono straordinariamente selvaggi.
Finalmente il mare ci da tregua. Niente onde per tutta la notte, passata in rada senza il motore che sbuffa nafta sul ponte.
La mattina il sole sorge circa alle 6 tra le isole di Komodo, e lo spettacolo vale i tre giorni da incubo in barca. Alle 630 ci lanciano delle fette di pane con del latte condensato spalmato sopra e ci portano a vedere i draghi nel parco. Ora tutto da terribile è diventato straordinario. Mentre scendiamo dalla barca degli orrori avvistiamo il primo drago che esce dal mare e cammina sulla spiaggia. Strabocchiamo felicità e macchine fotografiche da ogni taschino. I varani sembrano molto pacifici, riusciamo ad avvicinarli a 4/5 metri. I guardaparco che ci accompagnano muniti di forcone ci avvisano di stare attenti, perché quando decidono di attaccare sono guai seri. Nel primo trekking a Komodo riusciamo ad avvistare una ventina di lucertoloni in un’ora e alcuni cervi sulla spiaggia. È tutto surreale, dal paesaggio alla fauna. Di un altro pianeta e un’altra era geologica.
Ci spostiamo navigando a Rinca. Chiacchierando col secondo guardiaparco, ci racconta che due o tre volte l’anno capita che i draghi attacchino i turisti, al che i metri di rispettosa osservazioni diventano 10. Anche a Rinca siamo molto fortunati e riusciamo a vedere molti draghi, tra cui una femmina di quasi 3 metri che si aggira sul suo nido e continua a scavare buche per confondere i predatori che vogliono impossessarsi delle sue preziose uova.
La visita al parco nazionale di Komodo è finita. Riprende l’ultimo tratto di navigazione verso Flores. A metà tragitto facciamo una piccola sosta per una nuotata vicino ad una piccola isola. Ci buttiamo tutti a mare dal ponte come i bambini. L’esperienza condivisa ci permette di guardarci tutti negli occhi e di capirci al volo, anche se non conosciamo tutti i nostri nomi, veniamo da vari paesi del mondo, abbiamo età del tutto diverse.
Arrivati a Labuan Bajo, ci scambiamo qualche contatto, ci diamo appuntamento per cena con la famiglia belga la cui figlia ormai è inseparabile da Viola, e finalmente arriviamo in un albergo dove possiamo lavarci dopo 4 giorni con acqua dolce e sapone. Non ne sono certa, ma ho la netta sensazione che odoriamo un po’ tutti di cane andato a male.
Domani giorno di sosta organizzativa per poi proseguire alla scoperta di Flores fino ad Ende. Sono passate 5 settimane da quando siamo partiti. Ne mancano poco meno di due al rientro. Non abbiamo ancora voglia di tornare, anche se a volte ci manca del formaggio con un bicchiere di vino. L’Indonesia non finisce mai di stupirci. Più andiamo avanti e più ci sorprende.