Madurai
Dopo due voli ATR bielica IndiGo e mezzo flacone di benzodiazepine alla sottoscritta per volare paciosa come un panda, eccoci arrivati a Madurai, nella regione del Tamil Nadu. Qui quasi non piove più, ma i quasi 40 gradi umidi ci fanno rimpiangere il monsone dell’India centrale.
Come prima tappa, appena scesi dall’aereo, andiamo a visitare la residenza museo di Gandhi: molto emozionante se non fosse tutto manutenuto all’indiana, con pochi fondi e alla cazzo: molto italian-style insomma.
La mattina seguente Violi ci onora con un grande classico dei nostri viaggi: figlia/o con febbrone. Così Kiki si elegge infermiere e Tommi ed io andiamo a visitare il villaggio rurale dove fabbricano bambole votive di cartapesta e un tempio indu moderno appena fuori città.
Il pomeriggio santa santissima Tachipirina rimette in piedi Violi e riprendiamo tutti assieme la visita alla volta del tempio indu più importante della città: il Meenakshi temple.
Il tempio, come la maggior parte degli alberghi e musei, ha severi controlli di accesso, simili a quelli degli aeroporti: metal detector, niente telefoni, macchine fotografiche, zaini, e ovviamente niente scarpe. Rimasti praticamente in mutande entriamo nel tempio così grande da essere una città nella città, piena di vicoli, cortili, torri colorate gigantesche, palazzi, doni di fiori e frutti ai piedi di ogni statua di Shiva, Parvati, Ganesha. E un fiume umano coloratissimo di devoti accalcati in preghiera, in meditazione, con le mani giunte verso l’alto al seguito di una delle varie cerimonie e canti. L’emozione di essere in questa potentissima energia umana è travolgente.
Usciamo storditi. Nel mentre i nostri piedi nudi hanno calpestato cacche di scimmia, pipistrello, vacca, umano, cane che il laboratorio di Wuhan scansate, e i nostri nasi hanno inalato odori importantissimi. Eppure ci sentiamo accolti e parte di una bellezza che non viene scalfita da questi dettagli.
Fuori e dentro il tempio le mucche girano indisturbate, per le strade fra autobus, incroci e baracchini, come fossero gatti, un po’ di tutti e di nessuno: camminano lente e pacifiche, si sdraiano ovunque, amano essere accarezzate, ricevere del cibo in dono, i devoti le toccano e si baciano la mano in segno di rispetto. Poi quando si fa buio hanno la loro casa e i loro umani da cui fare ritorno. Dopo due settimane in India inizia a sembrarci così normale incontrare vacche a zonzo ovunque, che se non ne vediamo per più di 10 minuti siamo straniti.
Conosciamo un affettuoso signore che si chiama Ganesha, che ci tiene compagnia per un’oretta, mentre compriamo sari e camicie. Finito lo shopping ci salutiamo: lui ci abbraccia fortissimo, si commuove alle lacrime e ci dice “io vi vedo”. Un pezzo della nostra anima resta con lui <3 e nella magica Madurai.
Thekkady
Ripartiamo alla volta di Thekkady con Violi che barcolla ma non molla. Ci attendono elefanti e piantagioni di spezie.
Veniamo subito accolti da centinaia di macachi lungo gli ultimi tornanti. Qui natura, boschi, bananeti, piantagioni di spezie circondano fitto fitto tutto l’orizzonte.
Approfittiamo di un momento brillante di Violi per andare a trovare gli elefanti e fare un giro nella foresta con loro e visitare una piantagione di spezie, ma l’idillio dura poco, e ci dividiamo per riportare la febbricitante a riposare in albergo. Kiki e Tommi vanno a vedere qualche punto panoramico nella zona.
Le strade iniziano a diventare impegnative: tornanti su tornanti, strade dissestate, famigerata guida nazionale ad minchiam. Per fortuna il nostro driver è prudente e viaggia piano piano. Ci vuole un po’ di sano sbatterseneilcazzo indiano per non prendersi male ad ogni curva e sorpasso.
Next step: Munmar e le piantagioni del the.